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Colpito a quindici anni da un profondo squilibrio psichico, che lo spinge a vagabondare continuamente e che gli procura accessi d'incontrollabile furore, più volte rinchiuso in carcere e in ospedali psichiatrici, per anni Campana non fa altro che viaggiare, sperimentando ogni sorta di mestieri. Nel frattempo, "in vani intervalli della sua vita errante", come ci dice egli stesso, Campana scrive e riscrive il libro che avrebbe dovuto costituire il significato ultimo, addirittura la "giustificazione" della sua vita. La sua vita civile finisce, di fatto, nel gennaio 1918, quando viene definitivamente internato in manicomio, dove resterà fino alla morte, avvenuta nel marzo del 1932.