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"La fotografia è stata per me una grande passione, breve ma intensa; la Leica, il mio salvagente in una stagione di disillusione politica. Era la fine degli anni cinquanta, non esisteva scollamento, allora, tra pubblico e privato: i dubbi, le contraddizioni, le domande senza risposta su quel che restava del sogno comunista segnarono la nostra generazione. In me, poco più che trentenne, il segno fu tanto profondo da spingermi a lasciare non soltanto la redazione di "Vie Nuove" (il settimanale del Pci per il quale scrivevo dopo l'esperienza all'"Unità") ma addirittura il giornalismo, nella convinzione che continuare a praticarlo avrebbe voluto dire tradire le mie idee e trasformarmi da militante comunista nel suo opposto. Preferii partire alla volta di Berlino e trasformarmi in fotografo giramondo. Per cinque anni non feci altro che viaggiare spiando i volti delle persone nei paesi più lontani. Poi i tempi cambiarono, e con essi, un po' alla volta, anche le mie decisioni."