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Valerio Magrelli ha affrontato a più riprese, in poesia e in prosa, il tema dell'infanzia, anche attraverso pagine autobiografiche. Questo è il suo libro della maturità, ma l'infanzia e l'adolescenza non scompaiono del tutto: vengono viste come in uno specchio. Immagini rovesciate da interpretare da un altro punto di vista e con altre prospettive. Infanzia e vecchiaia spesso convivono, come nella poesia in cui si dice: «Mi sento così impaurito e solo al mondo / che perdo gli oggetti, uno a uno. / Per farmi ritrovare da qualcuno? / O alleggerisco il carico / per non andare a fondo?» La figura di Pollicino, che torna anche in un poemetto successivo, rimanda all'immaginario più tipico del mondo infantile, alla paura di perdersi, ma il perdersi, in un'altra poesia, viene confessata come caratteristica di tutta una vita: sbagliare la strada in un viaggio, confondere una città con un'altra. Confusione geografica, confusione onomastica. Condizioni di smarrimento che hanno sempre costituito punti di forza euristica nella poesia di Magrelli. I residui di infanzia hanno conformato un'intera esistenza ma ora, alle soglie della vecchiaia, prendono tutto un altro aspetto. Sono e non sono più quello che erano. L'infanzia diventa oggetto di sguardo, più che di autoanalisi. È la tenerezza nei confronti dei figli o dei ragazzi graffitari. Il punto di vista è ora la vecchiaia («questione di idraulica»), l'«ultima cima» da salire che si avvicina. Ma il fascino di questo libro è che l'«ex» ribalta ma non cancella l'«in». Tutto si tiene insieme. Così come insieme al tema generazionale scorrono altri temi, più laterali in questo libro rispetto ai libri precedenti, ma non meno importanti: la malattia, il «sangue amaro», la musica, la cultura pop. Sempre con quella capacità che è tipica di Magrelli di partire da una scena o da una constatazione e trasformarle in un percorso mentale inatteso, illuminante o, spesso, inquietante.