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L'ablativo è un caso latino che non indica l'"io" né il possesso, non marca le attese né le esclamazioni, ma sintetizza un allontanamento, un'uscita da un luogo o da uno stato, una dislocazione, un'asportazione. Un titolo quanto mai azzeccato per la nuova raccolta di Enrico Testa, la cui poesia è fortemente "ablativa" perché parla di privazioni e sa riflettere, con sentenze lapidarie e geniali, sui temi della mancanza per eccellenza, come la morte e la vecchiaia. Già con i libri precedenti, Testa elaborava il senso della perdita in molte delle direzioni possibili, soprattutto nel segno del ricordo, del dialogo reso virtuale e sostanzialmente di una malinconica rassegnazione. Nella nuova raccolta si spinge oltre: la perdita è intrinseca alla vita e coinvolge passato, presente e futuro, perché "la litania dei casi recitata al ginnasio s'è fatta prognosi postuma dei giorni" e all'autore non resta che spartirsi il presente "nella pienezza della sua inutilità".