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"Deve essere un telefono che funziona, il libro scritto". Questa frase, che pronunciò durante una conversazione radiofonica, non è che uno dei sintomi dell'interesse di Primo Levi per la comunicazione umana. Nulla di ciò che si può dire linguistico era estraneo all'acuto sguardo del chimico scrittore: etimologie e giochi enigmistici (come palindromi e rebus); gerghi di laboratorio e di Lager; macchine poetiche e reti di computer immaginate da Levi anzitempo. Nelle opere e nei suoi incontri con altri scrittori (diretti, indiretti o immaginari: Bartezzaghi ne inventa anche uno con David Foster Wallace), il Levi linguista e semiologo è quello che si interessa ai modi in cui possiamo dare senso a ciò che senso non ha, esprimere ciò che non si può, scalare l'impervio.