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Questa mirabolante raccolta di poesie sprigiona il consueto genio compositivo di Rodari in forme stralunate e ludiche. La prima parte del libro si intitola Poesie lepidarie: come ricorda Sanguineti nella sua prefazione, "non c'è niente di meglio che aggrapparsi saldamente a un gergo 'codificato e organizzato', a un codice chiuso di alti stereotipi, il più morto e mortuario possibile, qual è quello epigrafico, e sovvertirlo devolvendolo in parodia a fabbricare messaggi rovesciati, abnormi, derisori". E cosi queste lapidi non parlano di morti: parlano ad esempio della maestra Enrichetta Travaglia che "sporgevasi in vestaglia" e di cui si ricorda che "la sera istessa sul lungomare / perdeva le galosce". Oppure sono dedicate "A Filiberto Zeta / filologo e poeta / che di questa tranviaria vettura / per anni diciassette mesi due giorni tre / servivasi senza paura". La seconda e più ampia parte del volume si intitola Materia prima; qui i giochi verbali, i rovesciamenti e la parodia confermano le ascendenze avanguardiste di Rodari e ribadiscono quanto egli credesse nel potere liberatorio del riso, ma soprattutto nel valore critico del comico: "Eravamo sette e sette, / tutti giovani e gagliardi, / coi pennini nelle ghette / per illudere i ghepardi". O ancora: "Commendator, lei sale? / No, grazie, pepe sol. / Lo sale mi fa male / e l'insalata duol". Prefazione di Edoardo Sanguineti.