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Un fine settimana a Long Island in compagnia di una donna: è questo lo spunto che permette a Max Frisch di comporre uno dei suoi testi più importanti, forse l'ultimo di notevole spessore. Magistrale nella ricchezza di prospettive e nella costante autointerrogazione sui grandi temi della modernità, "Montauk" (1975) si snoda attorno all'affettuosa, nostalgica rievocazione di due giorni trascorsi con Lynn sulle rive dell'Atlantico. L'episodio suscita da un lato una serie di riflessioni su questioni fondamentali - la felicità e la sincerità, e poi l'amore, il desiderio, la fedeltà, e ancora l'invecchiamento, la malattia, la morte, ma anche la fama e il denaro -, dall'altro spinge alla rievocazione di eventi che risalgono alla giovinezza dell'autore, legati soprattutto al rapporto con le donne della sua vita. Dichiaratamente autobiografico, ma anche inaspettatamente laconico, "Montauk" è l'apoteosi di quel genere di 'autofiction' che lo scrittore svizzero ha praticato come nessun altro: un racconto articolato, sofferto, a tratti intriso di una malinconia devastante. Con "Montauk" Max Frisch ha ridisegnato i confini tra vita e arte, portando il lettore a comprendere più a fondo l'una e l'altra.