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È un lungo, coinvolgente percorso quello in cui ci guida la voce di Biancamaria Frabotta, un percorso di decenni tra i più solidi e duraturi della nostra poesia d'oggi. Nella classica compostezza della sua pronuncia, questa poetessa, tanto amabile e riflessiva, passa dal giovanile ardore, dall'ideologica passione degli esordi, ai mutamenti, lievi quanto essenziali e profondi, di una personale avventura, dentro le lacerazioni e le delusioni dell'epoca, per approdare a un vivo e paziente sentimento dell'esserci. E tutto questo nella luce della poesia, che è il più alto momento di sintesi a sua disposizione e che si evolve nelle progressioni di un viaggio, nella sua bellissima viandanza. Una vicenda poetica, quella di Biancamaria Frabotta, che si muove, sempre in pieno equilibrio di linguaggio e toni, alla ricerca, anche, della meraviglia semplice, nella felice perlustrazione, sempre più fitta, dell'apparentemente minimo o marginale. Fino alla fiducia in una realtà più domestica e del sentimento, quella che troviamo in La pianta del pane che, come scrive Roberto Deidier nella sua limpida postfazione, «è una stanza nuziale ampliata a dismisura, [...] la proiezione della propria identità nello sguardo dell'altro». Ma la piana coerenza di questa autrice trova conferma nell'umanissima, antiretorica saggezza del più recente "Da mani mortali" e nella raccolta, dove si accentua l'adesione aperta alla «serena confidenza / delle cose», che non potrà non coincidere con una piena adesione del lettore alla bellezza saggia e impeccabile, pacata e pure cangiante dell'opera di Biancamaria Frabotta. Nota biobibliografica di Carmelo Princiotta.