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Come ogni grande metropoli, Milano ha un punto dove convergono tutte le sue contraddizioni. E lì, invece di respingersi, si fondono. Un luogo che si compone delle vite di tutti quelli che ci passano attraverso, magari solo per pochi minuti, e non si accorgono di cedere un po' della propria individualità per entrare a far parte di un'entità più grande di loro che impasta, tritura, frulla e metabolizza prostitute, barboni, milionari, suore, assassini, bambini, sognatori e disperati in un unico, grande fluido. Questo luogo, a Milano, si chiama Parco Sempione. È in questo centro pulsante che quella mattina Giovanni Mandelli stava facendo jogging, prima di andare al lavoro. Fu un attimo. Non seppe mai cosa lo chiamò. I giorni successivi avrebbe raccontato di averci buttato l'occhio per caso, ma lo raccontava con il fastidioso disagio di chi sa di mentire. Correva e guardava la strada davanti a sé, quando improvvisamente voltò un istante lo sguardo verso gli alberi. Un caso, solo un caso. Questo andò ripetendosi negli anni successivi, e di questo alla fine si convinse. Vide qualcosa. Vide quella cosa. E poi furono i poliziotti, gli investigatori, il nastro per delimitare la scena, le fotografie della scientifica, i reporter, la massa dei curiosi. E poi l'autopsia.