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"Avrei dovuto pensare che da quel nome 'nihil' venga significata l'ineffabile, incomprensibile e inaccessibile luminosità della bontà divina, ignota a tutti gli intelletti tanto umani che angelici." Così Giovanni Scoto nel cuore del Libro III, esso stesso al centro del "Periphyseon". Il nulla domina le sue idee rivoluzionarie sulla Creazione. "Quando la trascendenza divina comincia ad apparire nelle teofanie" scrive Peter Dronke, "allora quel nulla diviene qualcosa. Creare dal nulla tutti gli esseri, dal più alto al più basso, significa farli apparire come teofanie, come manifestazioni del divino." Perché Giovanni Scoto sostiene che nel Verbo divino, nella Sapienza, tutte le cose sono sia eterne sia fatte, e che Dio, nel creare il mondo, crea anche sé stesso. La Sapienza è informe, e in essa sussiste la materia, essa stessa informe. Nessun filosofo platonico si era spinto sino a questo. La Sapienza, che è l'esemplare infinito di tutte le forme, non ha bisogno di forma "a essa superiore per formarsi", ma quando discende nelle forme guarda a sé stessa come al suo proprio principio formatore. Nella sua trascendenza, la Sapienza è non-essere e assoluto nulla, "ma in virtù della sua presenza nelle cose essa insieme è ed è detta essere". L'animato dibattito tra maestro e discepolo che costituisce l'ossatura del "Periphyseon" raggiunge qui uno dei suoi punti più alti, dettando tutta l'interpretazione letterale della Genesi che l'ispirato profeta Mosè ha composto nel linguaggio della poesia e del mito.