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Insieme all'"Odissea", le "Metamorfosi" sono il libro più fortunato che l'antichità classica ci abbia lasciato. Per la sua leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità Italo Calvino lo affidava al terzo millennio. È la summa del mito antico, ma anche delle passioni e dell'infelicità che dominano da sempre il mondo. Tutto, secondo Ovidio, muta: il cosmo, gli dèi, i corpi degli uomini e delle donne. Nelle "Metamorfosi", le storie di animali che divengono pietre, di eroi e ninfe mutati in stelle, di numi che s'incarnano, nascono l'una dall'altra, si intrecciano, riaffiorano in sequenza velocissima e cangiante. E in essa prendono forma i temi del generarsi medesimo del mito e della poesia: Orfeo, che canta agli alberi e alle fiere, diventa infine Ovidio, che compone per Augusto e il pubblico raffinato di Roma l'epica del divenire e si vede, al termine, trasformato egli stesso oltre la morte in volo più alto delle stelle: sul mondo intero e per tutti i secoli.