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Poeta bucolico dall'incerto profilo biografico, Calpurnio Siculo innova in età neroniana la tradizione teocriteo-virgiliana accogliendo in larga misura la realtà contemporanea, appena celata dietro la finzione pastorale. Attualizzando figurazioni codificate dell'età dell'oro celebra, con un linguaggio che tocca i registri dell'epica e dell'inno, un iuvenis restauratore di giustizia e clemenza, numen che opera prodigi nella natura vegetale e animale, al pari di Giove e Apollo, amico delle arti ed elargitore al popolo romano di ludi eccezionali. Nell'egloga conclusiva la descrizione ammirata di un anfiteatro ligneo fatto costruire da Nerone sembra invertire di segno il convenzionale binomio selve-città, e genera effetti stranianti. Attestano un vivace sperimentalismo anche le merae bucolicae, che sviluppano il tema dell'amore pastorale secondo situazioni proprie dell'elegia (il servitium amoris per la fanciulla incostante e sleale, il litigio scaturito dalla gelosia) o propongono soggetti didascalico-georgici. Nella sezione introduttiva del volume si rende conto dei procedimenti compositivi di Calpurnio, delle ascendenze letterarie e dello stile, e si discute anche la questione, di recente riproposta, della collocazione cronologica. Al testo critico e alla traduzione si accompagna un ampio commento, che affronta problemi esegetici e di critica letteraria.