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"Una pietra lanciata nella palude della cultura greca, che ne agita anche i fondali - ossia, la coscienza del lettore": così, nel 1929, il critico Kostas Daifas salutò la pubblicazione di Spirito libero, il libello polemico di un giovane fino ad allora sconosciuto che si faceva chiamare Orestis Dighenìs. Bersaglio polemico di Dighenìs, pseudonimo di Jorgos Theotokàs, era tutto quanto continuava a reprimere le forze della cultura greca in un momento storico in cui più che mai si avvertiva la necessità di una svolta: dal neoclassicismo in versione bavarese che aveva colonizzato l'estetica dei greci fino al realismo agreste degli autori ancora fedeli ai valori del secolo precedente e incapaci di adattarsi al nuovo mondo nato dopo lo sconquasso della Grande Guerra e delle guerre balcaniche, passando per il misticismo sia di destra sia di sinistra, e per il settarismo che, a detta di Theotokàs, avvelenava la vita, pubblica e privata, della Grecia.