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Nato ad Amsterdam nella prima metà del Seicento, Mosèh Zacuto trascorse gran parte della propria vita in Italia, prima a Venezia e poi a Mantova, dove rimase Fino alla morte nel 1697. Rabbino, cultore della mistica ebraica (la cosidetta cabbalà), esperto di giurisprudenza talmudica e finissimo poeta, la sua figura riassume i diversi poli geografico-culturali che costituiscono l'esperienza ebraica della prima età moderna. Autore prolifico, Zacuto ha lasciato un'opera imponente e variegata, tuttora in parte manoscritta. Al suo periodo italiano risale anche la composizione del "Toftèh arùkh". (L'inferno allestito), un lungo poema drammatico dedicato alla descrizione, in accesi toni coloristici, dell'oltretomba ebraico e delle pene che attendono i malvagi nella gehenna. Scritto in un linguaggio di straordinaria complessità e macabra suggestione, traboccante di astrusi riferimenti cabbalistici, "L'inferno allestito" si proponeva in realtà scopi didascalici e di moralizzazione, assai simili a quelli perseguiti, in ambito cristiano, dalla vibrante oratoria sacra di epoca controriformista. Vagamente ispirato all'Inferno dantesco, il poema di Zacuto si collocava alla confluenza tra la cultura ebraica tradizionale e le tendenze letterarie e intellettuali europee, contribuendo a consacrarne l'autore tra i più alti esponenti della poesia ebraica di età barocca.